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19.9.08

Salviamo il bosco. Capitolo III.

Domenica. Paolo.

Oggi sembrava una giornata magnifica. Tutti al bosco con panini, in buona compagnia. Siamo usciti e rientrati a casa un po’ di volte, perché c’è sempre qualcosa che ci dimentichiamo: l’acqua, il giacchetto di qualcuno nel caso faccia vento perché ancora siamo alla fine di maggio, il cellulare. L’ultimo oggetto imprescindibile per andare all’aria aperta senza il quale non potevamo assolutamente partire sono stati gli occhiali da sole di mia moglie Giada. Siamo arrivati tardi, con calma, abbiamo fatto una bella chiacchierata con la maestra di Andrea e poi abbiamo cercato gli Elli. Erano ben attrezzati, con sedie e una bella roccia dove appoggiare gli zaini. Titti e Pino sono abituati ad andare in campagna, loro girano spesso con il camper. Abbiamo mangiato insieme mentre si parlava del più e del meno, di quanta gente giovane aveva partecipato all’iniziativa, di chi c’era e chi non c’era, del concerto dell’orchestra sinfonica del Venezuela al quale eravamo andati insieme qualche sera prima, della gara “Invito alla lettura” a cui devono partecipare i bambini, di come era andata quella nazionale della matematica; il tutto godendoci un tiepido sole che riscaldava le ossa quel tanto che basta, senza dover cercare l’ombra dopo qualche minuto. Dopo pranzo i sei ragazzi hanno fatto delle piccole passeggiate nei dintorni, raccontando al ritorno quel che avevano visto e alla fine hanno chiesto il permesso per addentrarsi dentro il bosco. Tutti sapevano già come seguire il sentiero, infatti sono venuti diverse volte con la scuola e quindi abbiamo acconsentito. Titti e mia moglie sono andate a vedere se trovavano altre mamme e Pino e io siamo rimasti a vigilare gli zaini. Nel tirare fuori un altro panino ho scoperto che Mayte non si era portata dietro il cellulare. Ho chiesto a Pino se qualcuno dei suoi figli lo aveva con sé e mi ha risposto di no. Il tempo scorreva gradevolmente. Titti e Giada tornavano paciose, comode nei loro jeans. Titti con l’immancabile cappello dello stesso colore della maglietta, Giada con gli occhiali bianchi e neri che le fanno da fermacapelli, come al solito. Sentiamo gli strilli dei ragazzi che arrivano. Ci giriamo. Mancano le ragazze. In modo concitato ci raccontano che hanno sentito rumori di cinghiali nel bosco e hanno deciso di tornare, ma Ivana e Mayte pensavano che fossero solo uccelli e sono rimaste lì. Giada decide di andare a cercarle e i ragazzi vanno con lei. Non è preoccupata, si fida della prudenza di Mayte e della sua intelligenza per non mettersi nei guai, fin da piccolina se l’è portata dietro sugli scogli pugliesi difficili da scalare, sulle spalle in mare quando ancora non sapeva nuotare e sulle rocce accessibili alle sue gambine delle montagne madrilene. La “spedizione” che parte è allegra e spensierata. Intanto io do un’occhiata in giro, tante volte sono tornate e si sono mescolate nell’allegro e pittoresco miscuglio di gente che riempie la radura. Passa un'altra mezz’ora, Giada torna sempre e soltanto circondata da maschietti e io comincio a preoccuparmi sul serio. Inizio a pensare a tutto ciò che può succedere a due ragazzine nell’immensità di un bosco se non sanno dove stanno e mi viene un’ansia tremenda. Gattaceca ha una estensione considerevole, oltre alle zone che la scuola negli anni ha curato e segnalato con i cartelli. Cerco di tagliare fra gli alberi, per attraversare i sentieri da punti diversi da quelli percorsi da mia moglie. Ci sentiamo al cellulare. Nel frattempo Pino è andato in un'altra direzione, ma torna senza aver trovato nessuno. Ogni minuto che sto in mezzo a quegli alberi sembra un secolo per me. Suona il cellulare, ma non riesco a rispondere, non c’è campo. Il bosco si è infittito molto, non sembra più un posto gradevole dove passare la domenica, ma un luogo da attraversare con cautela, preferibilmente armato almeno con un grande bastone. Trovo un ramo per terra che può che fare al caso mio e mi sento meglio. Comincio però ad innervosirmi in mezzo a quel silenzio. Cerco un punto meno folto e faccio uno squillo, attaccando subito. Mia moglie capisce e richiama. Mi dice che hanno coinvolto la Protezione Civile e che sono partiti alla ricerca di Mayte e Ivana tutto il personale disponibile, anche con il Land Rover. Aggiunge che pare non sia la prima volta che qualcuno si perde nel bosco se lascia il sentiero e dandomi coraggio, attacca. Bene, succede anche agli adulti, quindi figuriamoci a due bimbe distratte da fiori e uccelli. Non posso pensare che abbiano incontrato un animale o peggio ancora un uomo non degno di essere chiamato così. Mi prude tutto, nonostante non faccia caldo. Mi sta venendo la dermatite nell’avambraccio. Ho bisogno di gridare. Le chiamo a squarciagola e cammino, cammino sempre più velocemente.

(continuerà)

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