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20.9.08

Salviamo il bosco. Capitolo IV.

L'angelo custode. Cosimo

Il ramo che ho trovato per appollaiarmi oggi è stranamente comodo e posizionato bene. Non ci sono tanti alberi davanti e i raggi del sole riescono a passare fra uno e l’altro, creando dei bei disegni per terra, giocando con le ombre. Mi piace osservare le cortecce grigiastre, sentire il sottile rumore del vento fra le foglie. In lontananza intravedo quattro gambe blu; dalle voci capisco che sono uomini, peccato, stavo così bene da solo in mezzo a madre natura … Si avvicinano per il sentiero. Adesso li sento un po’ meglio. Parlano a voce alta, scherzano in modo pesante sulle donne, la morbosità si sente a pelle, o meglio a udito. Sembra che abbiano avvistato qualcuno e si nascondono per non farsi vedere. Guardo dall’altra parte del sentiero, ma non vedo nessuno. Giro il collo il più possibile per cercare di capire cosa ha provocato quella reazione negli uomini. Qualunque cosa sia, non prevedo nulla di buono. Oh, mio Dio, ma sono due ragazzine! Perché mai nascondersi? Le osservo, devono passare vicino al mio albero e se non cambiano traiettoria finiranno proprio davanti ai due quando meno se lo aspettano. Una ha i capelli scuri e lunghi, la carnagione chiarissima, intorno ai 160 cm, slanciata, una Biancaneve dei tempi d’oggi. Ogni tanto si ferma, sente gracchiare le cornacchie e gli chiede il permesso per continuare a camminare nel bosco, le cornacchie si azzittiscono e lei riprende tranquilla la passeggiata, superando agilmente le difficoltà del terreno mentre canta qualcosa sul mare e le sirene. L’altra ragazzina, castana, morbida nei lineamenti, la segue meno svelta, silenziosa, guardandosi intorno con attenzione. Ad un tratto si accorge della presenza dei due uomini lontani che tornano a ridere fra di loro, anche se in modo sommesso. Dai suoi grandi occhi, che all’improvviso appaiono spaventati, cade una lacrima, espressione della tensione fin ora accumulata. Scendo senza far rumore dall’albero, prendo il bastone di mio nonno che avevo lasciato giù e prima che le creature riescano a rendersi conto che sto arrivando, gli do il buon giorno. La ragazzina più bassa mi chiede subito, in modo irruento, se so come uscire dal bosco. La mia presenza sembra sollevarla da un brutto pensiero, il lacrimone è scomparso. Cerco di capire da dove vengano, ma non sono in grado di darmi i nomi dei posti. L’amica delle cornacchie mi descrive il piazzale dove ci sono i genitori e come sono arrivate fin lì. E’ quel che basta per indicargli la strada più diretta per tornare al mondo civilizzato, anche se non seguiranno il sentiero e arriveranno al parcheggio invece che al luogo da cui erano partite. Ho paura dei due “belloni” che si avvicinano spavaldi. Sono ancora lontani per aver sentito le indicazioni da me date a bassa voce, ma non abbastanza da consentire alle ragazzine di scomparire dalla loro vista e raggiungere un punto più sicuro in tempo utile. Li dovrò bloccare in qualche modo. Le due si avviano concentrate per non dimenticare i punti di riferimento appena ascoltati. Io mi giro e vado incontro ai due “gentiluomini”. Faremo una bella chiacchierata lunga lunga, non è così facile togliersi da torno il vecchio calvo Cosimo, quando lui non vuole. Nessuno turberà la pace in questo luogo.

(continuerà...)

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